Gravidanza condivisa

Fabio Guidi

Gli sviluppi della tecnologia non smettono mai di stupirci, non c'è che dire. In Gran Bretagna è nato il primo bambino, il piccolo Otis, con una «gravidanza condivisa». Cos'è successo? É successo che Jasmine, un'infermiera di 28 anni, ha dato alla luce un bambino, concepito con un ovulo della moglie Donna, una trentenne ufficiale dell'Esercito. Fin qui niente di strano, anche in Italia siamo ormai abituati a queste nascite dovute a una fecondazione assistita, praticata solo all'estero, per ora. La cosa particolare di questo parto è che entrambe le donne hanno condiviso la gravidanza, perché l'ovulo fecondato è stato prima impiantato e incubato per 18 ore in Donna e poi definitivamente trasferito nell'utero di Jasmine, che ha portato a termine la gestazione.
"Questa procedura ci ha fatte sentire alla pari in tutto il processo e più vicine", ha detto Jasmine.
"Evita che una delle due abbia più legami con il bambino dell’altra", ha aggiunto Donna.
In altre parole, una prima ci metteva il DNA e l'altra la gestazione. Ora, la novità è che anche l'altra mamma ci mette di suo 18 ore di gestazione. Tutto qui. Ma agli occhi della coppia questo appare come una maggiore condivisione del figlio.
Mi domando quanta insicurezza si nasconda dietro questa faccenda. L'insicurezza che il bambino possa sentirsi più legato ad una mamma piuttosto che ad un'altra. Oppure, l'insicurezza che una mamma possa in futuro rivendicare la maternità più dell'altra. O l'insicurezza di non sentirsi alla pari, inferiore all'altra. O l'insicurezza della solitudine, tanto da far scattare un forte desiderio di possesso. O, infine, l'insicurezza che fa mettere un marchio sul nascituro, un marchio che dica «Io!».
E così ci attacchiamo alla nuova formula magica, all'ennesimo espediente formale offertoci dalla tecnologia, che ci fornisca quel briciolo di sicurezza capace di tenere a bada l'ansia del vivere. Il tutto nascosto da volti sorridenti e felici per la nuova acquisizione.
Il fatto che questa coppia sia omosessuale c'entra poco. L'insicurezza, sempre più strisciante e diffusa, pare sia il segno dei nostri tempi.