La rimozione dell'incertezza

 

Fabio Guidi

Mi è stato chiesto perché non scrivessi qualcosa di psicosintetico sul fenomeno Coronavirus. Il fatto è che fra i numerosi (troppi) e contrastanti commenti a questa vicenda, è fin troppo facile contribuire a versare il nulla nel vuoto, come direbbe il maestro armeno. 

Tuttavia, nel panorama dell'informazione di questi giorni, mi sembra sia assente una prospettiva che io reputo indubbiamente la più seria. E cioè che viviamo in un'epoca nella quale troneggia il rifiuto, anzi, la rimozione dell'incertezza. Ciò è tipico della nostra società improntata alla tecnoscienza, dove si vuole illudere la gente che ogni cosa può essere rigorosamente messa sotto controllo e che, se questo non succede, va senz'altro cercata la responsabilità a qualche livello dell'organizzazione del sistema. In altre parole, si è fatta strada l'idea che la popolazione vada protetta in ogni modo possibile dall'aleatorietà dell'esistenza. 
Si fanno apparire come sensate e ovvie norme secondo le quali i bambini vadano accompagnati fino ai 14 anni a scuola e dalla scuola, i cittadini vadano per cautela vaccinati contro ogni insidia, e le auto siano munite di dispositivi idonei ad avvisare che "ehi, fa' attenzione, hai un bambino sul sedile posteriore". Eh sì, perché il genitore potrebbe dimenticarsi il bebè per ore in auto sotto il sole infuocato. Perché il fanciullo potrebbe rimanere vittima di un un incidente stradale, se lasciato da solo per la strada. Perché qualcuno potrebbe contrarre delle malattie, e questo va assolutamente evitato, anche per le più comuni, che un tempo erano salutate come eventi ordinari della vita. Tipo il morbillo. 
Si dice che, cribbio!, qualcuno è morto e molti potrebbero morire ancora senza le dovute precauzioni. É vero. Ma è anche vero che la casualità, il rischio, la sorte, la fortuna o, semplicemente, le naturali logiche della vita, costituiscono elementi essenziali dell'esistenza umana, fattori che nessun sapere tecnoscientifico potrà mai eliminare. Nella vita, continuamente, ci sono malattie, incidenti e morti. É sempre stato così, ma sembra che oggi, l'uomo occidentale non sia in grado di accettare questa banalità e si faccia così prendere dal panico di fronte ad ogni allarme ben orchestrato dal sistema dei media, che campa, anzi, ingrassa sulle emozioni irrazionali della gente. Oggi, rispetto a ieri, si muore molto meno di morte prematura, ma ciò non basta. Il tabu della morte, tipico dell'angosciato uomo occidentale, esige che sia allontanato il più possibile ogni minimo rischio dalla sua vita. Egli non accetta l'idea stessa che la vita sia un rischio, di fronte al quale nessuna protezione può renderlo sicuro. Perché abbiamo così paura dell'inevitabile incertezza del vivere? Perché ci dimentichiamo che la morte, qualsiasi tipo di morte, fa parte della vita?

Continuiamo a rendere impossibile la nostra esistenza (basta vedere che cosa sta succedendo nelle zone a rischio Coronavirus, nelle transazioni commerciali e turistiche, nei saccheggi dei supermercati...), peggiorandone progressivamente la qualità, ma acquisendo un briciolo di sicurezza in più, spesso illusoria. Il Coronavirus è uno dei tanti rischi della vita, e nemmeno tra i più elevati, dal momento che si parla di una mortalità massima del 2-3%, a confronto, che ne so, con le malattie tumorali, che riguardano in media 485 morti al giorno, oppure con i 9 morti al giorno per incidenti stradali. Per i tumori o gli incidenti stradali si è pronti a dire "che ci vuoi fare, quando è il tuo momento...", cioè si è pronti a invocare il fato, mentre per il Coronavirus, no. Il fatto è che il Coronavirus è un fenomeno nuovo e, come tutte le cose nuove, crea insicurezza ed è particolarmente adatto a suscitare isterie collettive. Sembra che l'essere umano abbia un infantile terrore per ciò che non conosce, ma, quando invece è perfettamente cosciente del problema, se ne infischi altamente. Vedi il fumo.