Il vecchio è peggio del nulla
Simone Prezioso
“Quando è moda, è moda” cantava in una sua malinconica canzone il nostro compianto Giorgio Gaber. La moda succede ad avvenimenti che cambiano inesorabilmente la percezione del nostro tempo.
Barbe lunghe da compagni, ideali di libertà e speranza di rivoluzione, nelle parole di Gaber, vengono inquadrate, già nel ‘78, come l’ultimo ricordo di un orientamento che ha segnato la cultura degli anni ’70.
La moda, con la sua innata spinta consumistica, prende ciò che di buono circola in una determinata cultura, ne fagocita e ne travisa la spinta creativa, il naturale e genuino moto al miglioramento, e poi, a digestione terminata, vomita alle masse un prodotto nuovo, un prodotto trendy, utile all’uomo qualunque per indossare un’immagine di forza, di vitalità, di innovazione. Tutto ciò che rimane dell’autentica spinta iniziale è una caricatura degli aspetti più superficialmente riconoscibili dell’originale.
Ahimè, la situazione attuale è ulteriormente peggiorata. Siamo al punto in cui anche il ricordo di una brutta copia di qualcosa è notevolmente preferibile rispetto a ciò che la nostra cultura postmoderna ci propina.
Molti sono abituati alla superficialità e alla formalità che per anni ha rappresentato in scena il palco del Festival di Sanremo. Siamo abituati alle solite mummie e parrucconi scongelati a dovere prima di essere dati in pasto all’atavica fame della plebe, da sempre desiderosa di emozioni semplici, facilmente digeribili, talmente inconsistenti da non dover nemmeno sforzarsi nella masticazione. Ma ora la situazione è peggiorata.
Dal “Quando è moda, è moda” di Gaber siamo passati al “Quando è merda, è merda”. Non scandalizzatevi, per cortesia, e non pensate all’intuizione provocatoria di Piero Manzoni con la sua “Merda d’artista”. Non esiste più il ricordo di valori a cui aggrapparsi, o quantomeno da imbruttire e rievocare in modo maldestro, è rimasta solo la dissoluzione. Anzi no, siamo oltre la dissoluzione!
Siamo arrivati al punto in cui l’attuale concetto di arte è diventato mettere in scena la merda che hai dentro di te, e se, nonostante i tuoi sforzi, di merda non te ne è uscita abbastanza, è necessario concentrarsi e darci dentro, sforzarsi, se è necessario anche stordirsi, tutto purché la si faccia bella grossa, perché più se ne fa e più si è liberi dai vecchi schemi e paradigmi, dalle polverose e usurate ideologie del passato.
L’attuale moto della cultura dilagante è eliminare qualsiasi traccia rimasta dei riferimenti del passato e produrre novità sempre più sconcertanti e stravaganti, il cui fine è il non avere fine,se non appunto la novità in sé. Risulta così ulteriormente patetico vedere questi vecchi parrucconi duettare con gli esponenti della nuova orda di “artisti”: in loro non esiste possibilità di scelta e, se vogliono rimanere a bordo della grande caravella degli artisti, devono piegarsi alle richieste del mercato.
Non esiste più alcun riferimento e tutto è in dissoluzione. Ciò che era, man mano sta diventando un noioso ricordo; ciò che è nuovo si bea del fatto che non esistono regole o riferimenti da perseguire. È sufficiente essere nulla per dimostrare di essere oltre la vetusta e opprimente cultura del passato. Ripeto: nulla oggi è molto meglio di vecchio.
Non vorrei passare per menagramo, ma mi sembra che solo uno sconvolgimento planetario in grado di spostare l’ago della bilancia sul valore della bellezza potrà creare nuovi scopi, e chi lo ha capito, rimane in speranzosa attesa dell’apocalisse.