Verso il lungo sonno

 

 
Gianluca Mondini

Alcuni giorni fa ho avuto modo di incontrare una persona che non vedevo da tempo. Le circostanze non sono state le più favorevoli: le forze la stanno abbandonando e sa benissimo che non potrà restare in questo mondo per molto tempo ancora.
Quello che mi ha colpito e commosso più di ogni altra cosa è l'atteggiamento che si è sviluppato in lei: un processo mentale, fisico ed emotivo la sta dolcemente preparando a quello che sarà il momento in cui dovrà dire addio a questa vita.
E se, per alcuni, questo processo porta ad una maggiore consapevolezza e lucidità di ciò che è stata la propria esistenza, per lei come per altri è come se tutto venisse rimodellato, attenuato, addolcito. Guardarsi indietro, specie quando la vita non è sempre stata gentile con noi, richiede una certa dose di forza e di coraggio che non è necessariamente dovuta.
Sono spariti i ricordi di alcuni avvenimenti recenti poco piacevoli, mentre restano forti le immagini di antichi eventi che possono ancora portare il sorriso sulle labbra. Sono cambiati i lineamenti e le espressioni della faccia, che ora trasmette le sensazioni di un bambino triste e stanco ma che può finalmente sentirsi al sicuro, che sta tornando a casa.
È come se i suoi tre centri, delicatamente, si stessero allineando per favorire, nel modo più semplice possibile, il momento del saluto finale.
E questo mi fa capire che non sempre il nostro impegno verso l'altro deve essere quello di svegliare, di portare con i piedi a terra e di «scuotere» dal sonno.
Se ci domandiamo onestamente «che cosa posso fare, io, in questa situazione?», possiamo renderci conto che, alcune volte, quello che noi crediamo essere il «bene» dell'altro è solamente un'idea che vive nella nostra mente.
Magari dobbiamo semplicemente prendere la mano di quest'altra persona, farle sentire che «andrà tutto bene», che tutto il dolore se ne andrà via.
Ed attendere che questa, nel modo più delicato possibile, possa scivolare nel suo lungo sonno.