Elogio alla resa
Simone Prezioso
Ho deciso di alzare bandiera bianca, di arrendermi e di annunciare la resa finale. Non è elogiabile l’affermazione che bisogna sempre lottare perché troppo spesso l’ostinazione guerrigliera altro non è che figlia di una codardia nascosta. E io sono stato un campione di ostinazione e ho spesso drizzato il petto come per mostrare la valorosa medaglia poggiata sul cuore che immaginavo di possedere.
Ma il punto della questione non è la dedizione che si impiega nelle attività quanto le motivazioni che portano alla lotta.
E che virtù è quella che spinge a voler attrarre l’altro mostrando tramite la fierezza il proprio valore? Che virtù c’è nella competizione, nell’ambizione, nel dimostrare che si è “uno di noi”, anzi, forse anche qualcosa in più?
E poi, nel mentre il corpo accumula tensioni e irrigidimenti, la vita appare progressivamente come in uno scenario di lotta a cielo aperto in cui chiunque può tramutarsi di colpo in nemico, anche le persone più vicine, e tra battaglie vinte e battaglie perse passa il tempo in un conflitto per cui, ad un certo punto, non si ricorda più neanche la causa del principio bellicoso.
Per questo oggi cerco in me il coraggio per la resa ultima.
Ché voler piacere a tutti non è una grande cosa, come non lo è immaginarsi un giorno di raggiungere l’Olimpo. D’altronde i greci stessi ammonivano, nell’età classica, chi peccava nel misurare se stesso con modestia e realismo.
Ho deciso quindi che da oggi aprirò la porta al dolore perché questo scomodo messaggero è portatore di saggezza e di empatia.
Aprirò la porta alla paura perché possano emergere in me le ferite che rendono l’uomo nobile nella sua povertà.
Io oggi, in definitiva, chinerò il capo di fronte a questo mondo poiché finalmente mi accorgo che troppa ignoranza c’è in me per poter comprendere la grazia e la brutalità delle forze motrici che generano il caos, la creazione e la morte.
Ho paura, non posso negarlo.
Oggi io mi accorgo che tutta la vita fino a ora scorsa ad altro non è servita se non ad affogare il timore di percepirmi un niente perso nell’infinito e io ti invoco Dio, pur non avendo ben chiaro quale forma tu possa avere, e ti chiedo di starmi vicino, di darmi la forza per morire a me stesso e finalmente rinascere con il volto che in principio mi fu dato in dono.
Ti chiedo di starmi accanto quando tentennerò e di far sì che io possa sopportare il freddo quando incontrerò la solitudine e quando accogliere la tragedia insita nella condizione umana fiaccherà il mio entusiasmo.
Ma fa' anche che i miei occhi siano pronti ad accogliere la luce del sole, senza bisogno di voltare lo sguardo per riposare la vista, fa' che io sia pronto e ricettivo come chi nulla ha da trattenere a sé poiché tutto al suo interno scorre e muta senza provare la tentazione di voler possedere o di rubare ciò che è vivo e quindi libero.
Che la resa sia soltanto l’inizio, perché non tutte le battaglie sono giuste e smettere di lottare è forse la prima vera grande vittoria.